Riportiamo qui di seguito una mail inviataci alla redazione da Daniele Costantino che ha voluto porre all'attenzione di noi tutti una questione alquanto allarmante.
"Cari amici, invio il presente articolo - qualora non lo conosceste già - sulla situazione della scuola italiana e sulla preparazione degli studenti. L'Italia si colloca agli ultimi posti della classifica Ocse, ma la situazione si fa addirittura drammatica se si considera il mezzogiorno d'Italia. Le colpe? Di tutti!I risultati? Il paese dei balocchi nel quale viviamo. Poveri noi."
Il nostro sistema da vent'anni continua a peggiorare. E i nostri studenti sono sempre più ignoranti. Le colpe della politica, degli insegnanti e delle famiglie.Matematica: sex. Sulle pagelle degli studenti italiani meno bravi si legge ancora il 'sex' inventato nel secolo scorso per evitare che qualcuno trasformasse la i in t e proseguisse contraffacendo un bel 'sette'. Solo che adesso le pagelle sono scritte al computer e poi stampate, per cui una correzione con la biro sarebbe impossibile. Eppure, è rimasto il 'sex'. Per Domenico Starnone, scrittore ed ex insegnante, quella del 'sex' è una metafora potentissima della nostra scuola: della scuola invecchiata che non vuole cambiare, che non si arrende neanche all'evidenza. E che ci consegna, lo dicono i numeri italiani e i confronti internazionali, un sostanziale fallimento educativo. Nonostante tre riforme in dieci anni, nonostante i grandi proclami della politica, nonostante la spasmodica e spesso isterica attenzione delle famiglie, nonostante le agitazioni dei suoi 835 mila insegnanti. O forse proprio a causa loro: della politica, degli insegnanti, delle famiglie. Protagonisti e imputati nel processo alla scuola del 'sex'. Fallimento in cifre 'Nel Mezzogiorno italiano un quindicenne su cinque è povero di conoscenze'. L'allarme è risuonato fortissimo, qualche mese fa, non nell'aula del Parlamento, non in un comizio, non in un'assemblea, e ad ascoltarlo non c'erano studenti né professori né politici, ma compunti banchieri e uomini d'affari, convenuti in Banca d'Italia a sentire le 'Considerazioni' del governatore Mario Draghi. Ennesima bizzarria dell'Italia, ennesima supplenza della sua Banca centrale? Fatto sta che i dati denunciati da Bankitalia collocano la nostra scuola al venticinquesimo posto nell' Ocse. Quando sono stati pubblicati hanno suscitato discussioni e commenti perfino in Germania, paese nel quale gli studenti mostravano competenze inferiori alla media, ma superiori a quelle degli italiani, mentre da noi sono passati quasi inosservati. A quelle evidenze poi se ne sono aggiunte altre, ma non si può dire che intorno alla scuola sia nato quel clima da emergenza nazionale che potrebbe forse salvarla. Dove nasce la crisi? Col suo sguardo lungo e disincantato, Starnone colloca l'inizio della fine negli anni '80: fu allora che 'mentre negli altri paesi si scopriva il business dell'istruzione, da noi la scuola perse interesse agli occhi della politica e della società'. Un clima immortalato sin nel titolo dal suo 'Ex cathedra', libro-icona di una generazione di insegnanti che avevano sognato di rivoluzionare la scuola. Anche Marco Rossi Doria, 'maestro di strada' da trent'anni e fondatore del progetto Chance, da qualche mese consulente del ministero dell'Istruzione, fu parte di quella 'meglio gioventù' di insegnanti e intellettuali. Cita i dati sulla dispersione, legge le statistiche e sbotta: 'Altro che scuola di massa. Se uno su tre prende solo sufficiente alla licenza media e uno su cinque esce da scuola senza diploma né qualifica, siamo di fronte a un fallimento formativo di massa'. Dieci anni di riforme Eppure negli ultimi dieci anni la politica le mani nella scuola le ha messe, eccome. Rossi Doria non è sospettabile di simpatie morattiane quando dice alla sinistra: 'Smettiamola di imputare tutti i mali della scuola a Letizia Moratti, è una follia pensare di cambiare ogni volta la scuola col cambio di colore dei governi'. E di mani di colore ne sono state date tante, negli ultimi dieci anni: le regole sull'obbligo scolastico sono cambiate tre volte, sono stati aboliti e spostati esami, riformati i cicli, fatte e disfatte commissioni e resi autonomi i quasi 60 mila istituti della Repubblica. Senza con questo migliorare la scuola italiana: che resta 'senz'arte ma di parte', come ha sostenuto Luigi Berlinguer all'inizio dell'estate in un articolo sul 'manifesto' in cui denunciava la carenza della cultura scientifica, del metodo sperimentale e della musica nel nostro sistema educativo. Attirandosi lettere infuriate: 'Tu dov'eri?', è stata la domanda prevalente, soprattutto da parte degli insegnanti. Berlinguer era al governo, dal '96 al '98, prima che la rivolta del mondo della scuola inducesse il centrosinistra a mandarlo via. Con lui sparì la proposta, impallinata dagli insegnanti, di introdurre criteri di valutazione del lavoro dei docenti. Restò la novità principale: l'autonomia scolastica, con tutto il suo portato di sponsor, progetti, Pof (piani di offerta formativa delle singole scuole). Cosa hanno fatto le 57.557 scuole d'Italia finalmente autonome dal centralismo romano? Basta aprire un sito Internet di un istituto o recarsi a una riunione preparatoria alle iscrizioni per capirlo: un marketing di offerte e progetti di attività aggiuntive, rare novità sugli insegnamenti tradizionali. 'L'autonomia è diventata intrattenimento formativo', dice Starnone: 'Non ha portato soldi e ha introdotto l'incubo del Pof, burocratizzando ancora di più il lavoro degli insegnanti'. Sicché le nostre scuole si sono trasformate in progettifici, senza per questo avere più risorse: i fondi pubblici, a dispetto della sbandierata autonomia, sono rimasti fino all'anno scorso tutti vincolati agli specifici capitoli di bilancio - questo per i cancellini questo per i laboratori - mentre i famosi sponsor si sono visti poco. Assai spesso si chiedono soldi alle famiglie per fare corsi aggiuntivi, mentre i programmi tradizionali restano immutati e i laboratori deserti. Così l'autonomia, che esiste in molti dei sistemi scolastici al top delle classifiche mondiali, in Italia è diventata uno dei problemi, per tanti il problema principale. È successo 'perché è stata attuata male, da un corpo docente che non l'ha digerita, e poi vanificata dalla Moratti', sostiene Berlinguer; mentre gran parte del corpo docente, ben rappresentata da Paola Mastrocola, autrice del libro 'La scuola spiegata al mio cane', sogna di de-berlinguerizzare la scuola, e vagheggia un ritorno al passato, con tanto latino. E programmi tradizionali dettati da Roma. A proposito di programmi. Nel turbinio delle riforme ci si è dimenticati dell'essenziale: cosa e come si insegna, dove e perché nascono i 'poveri di conoscenze'. Perché la scuola italiana fallisce nell'educare al 'problem solving'? Perché dopo elementari decenti abbiamo il tracollo delle medie? Perché quando si parla di riforme ci si concentra sempre sui licei, mentre più della metà degli studenti frequenta tecnici e professionali? E perché una scuola apparentemente uguale per tutti a Sud tracolla? Mauro Palma, coordinatore dell'area educativa dell'Enciclopedia Treccani e co-autore di uno dei più diffusi manuali di matematica dei licei sperimentali, ha un buon punto di osservazione sull'insegnamento delle materie scientifiche. 'Fatte salve le sperimentazioni, nei licei siamo ancora fermi ai programmi dettati nel 1944. Quanto alle commissioni per i nuovi programmi, per anni si è andati avanti con criteri parlamentari: per mediare tra le varie posizioni, mettevano dentro un po' di tutto', racconta. Il passaggio dai programmi alle linee-guida, omaggio all'autonomia scolastica, non ha migliorato le cose. Palma condanna quanto fatto e quanto non fatto sull'insegnamento della matematica: 'Bisogna chiedersi perché i bambini, che cominciano a imparare proprio dai numeri, a un certo punto se ne distaccano. E perché la materia più insegnata nella scuola italiana è anche quella in cui andiamo peggio'. Secondo la sua diagnosi, il luogo in cui qualcosa si rompe è la scuola media, 'quando si perde il riferimento problematico'; molto pesa anche il contesto culturale generale, 'per cui una persona colta deve sapere il latino, ma può tranquillamente sbagliare una percentuale senza vergognarsene'. Gli insegnanti Stanchi di Pof e progettifici, malpagati, sempre meno gratificati. Gli insegnanti italiani non se la passano bene. Ce lo dicono persino i loro matrimoni, sostiene il sociologo Antonio Schizzerotto, che nel tipo di nozze di maestre e prof ha rintracciato un declino della desiderabilità sociale della professione. Ma siamo sicuri che siano senza peccato, nella crisi della scuola? Com'è fatta e come si muove la classe insegnante? I dati generali ci dicono che è più anziana della media dei lavoratori (età media 49 anni, nei prossimi sei anni ne andranno in pensione oltre 200 mila) e per i tre quarti fatta da donne. Sono al 60 per cento laureati, lavorano in media 15 ore a settimana meno degli altri. Il numero di precari è enorme: 124 mila su 835 mila. Per un giovane che si avvia all'insegnamento, la probabilità di avere un contratto a termine è 25 volte superiore che in qualsiasi altro settore. È quanto sostiene un lavoro della Banca d'Italia, che sottolinea: in questo caso la flessibilità non aumenta l'efficienza, ma la abbatte. Lo stesso studio dà un indizio decisivo per chi voglia scoprire cosa non va nella scuola: la giostra annuale degli insegnanti. Un dato per tutti: un docente su cinque cambia scuola da un anno all'altro. Una girandola che non è dovuta solo ai precari: le richieste di trasferimento dei prof di ruolo verso la scuola preferita riguardano un terzo del turn-over, 50 mila all'anno. I criteri? Tutti burocratici e anagrafici, niente a che vedere col merito né con i bisogni delle scuole. Così, si assiste ogni anno a esodi continui: prevalgono i movimenti verso Sud e all'interno del Sud; quanto ai tipi di scuola, c'è una fuga da professionali e medie. Dunque, la mappa dei trasferimenti ricalca quella delle zone nere del sistema scolastico: medie, professionali e Mezzogiorno. Non è certo un caso. Può reggere un sistema nel quale ciascuna scuola è autonoma e diversa dall'altra, ma i docenti sono tutti identici, un sistema in cui un professore bravo non ha alcun incentivo ad andare dove c'è più bisogno di lui, cioè una scuola difficile? Rossi Doria, che nei quartieri a rischio di Napoli ci è andato per scelta, dice che no, non può funzionare. Per aumentare l'eguaglianza, dice, dobbiamo accettare le differenze: così come fanno in Francia, dove gli insegnanti che vanno nelle Zone di educazione prioritaria (le Zep) hanno incentivi economici e di punteggio. 'Con l'egualitarismo standardizzato finisci per fare una scuola di classe, dove vanno bene solo i licei'. Insomma, bisognerebbe costruire un meccanismo, o almeno dare degli incentivi, perché i migliori vadano nelle scuole peggiori: ma quali sono 'i migliori'? Ritorna l'argomento tabù, quello della valutazione: quello su cui, anni luce fa, esplosero Gilda e Cobas, contro i primi timidi tentativi in tal senso. Negli staff tecnici del ministero sono allo studio metodi per valutare l'andamento delle classi, modo indiretto per valutare l'operato dei professori. I quali, dice Rossi Doria, prima o poi qualche cambiamento dovranno accettarlo: 'Si considerano dipendenti pubblici, ma sono professionisti del sapere, devono abbandonare una visione rivendicativa, capire che è cambiata la scuola e la società, sono cambiate le famiglie'. La famiglia Intorno alla scuola invecchiata senza crescere, alla scuola del sex in pagella, è cambiato tutto, a partire da studenti e famiglie. 'La divisione degli studenti non passa semplicemente tra figli di poveri e figli di ricchi', constata Starnone: 'A scuola arriva anche un ceto svantaggiato culturalmente, che però dal punto di vista materiale ha tutto. E allo stesso tempo i figli del ceto medio colto, quelli che una volta gratificavano gli insegnanti, sono esposti come tutti a violenza, alcol, droga. La violenza a scuola c'è sempre stata, persino in 'Cuore' Garrone, che era uno buono, andava a scuola col coltello: solo che se prima c'era una rissa tra due, il terzo interveniva per separarli, adesso si ferma per filmarli'. Ma se la scuola è impreparata a tutto ciò, non è che le famiglie l'aiutino a migliorare. Sborsano sempre più soldi, dai libri ai corsi aggiuntivi ai materiali, e sono più presenti di prima; ma spesso arrivano come clienti a guardare la vetrina della scuola e quando qualcosa non va, protestano violentemente o vanno dal giudice. 'Vale nella scuola quello che vale fuori: chi batte i pugni sul tavolo vince', dice amaro Starnone. 'Le famiglie spesso delegano, non costruiscono più il super Io, ma poi se la scuola impone delle regole severe, molti si infuriano', commenta Rossi Doria. La famiglia-cliente non mette sotto processo pubblico la scuola, si limita a difendere il proprio discendente, a suon di pugni o di ricorsi legali. C'è poi un altro effetto-famiglia, ed è quello antico: nonostante tutti i cambiamenti, resiste il fenomeno per cui il background familiare ha un peso decisivo negli esiti scolastici. Nei paesi nei quali la scuola è migliore, diventano meno decisivi il reddito o l'istruzione di papà e mamma: anche qui, numeri e studi sul fenomeno mettono l'Italia in posizione svantaggiata. L'economista Daniele Checchi ha scandagliato la relazione tra i sistemi scolastici e peso dei background familiari, tra scuola e promozione sociale: vien fuori che, se negli anni tutti hanno avuto qualche opportunità in più, non è cambiata la mappa delle diseguaglianze. Lo si vede anche nelle macro-differenze, quelle tra Nord e Sud: il 5 per cento dei genitori di quindicenni del Sud ha al massimo la licenza elementare, il 32 per cento si ferma a quella media. Nel Nord Est, le stesse percentuali scendono all'1,6 e al 19,8 per cento. Insomma, la famiglia e il territorio continuano a fare la differenza nella scuola pubblica italiana. Nel bene e nel male. n Retrocessi agli ultimi banchi Matematica, lettura, scienze e problem solving: Italia agli ultimi posti Lettura Matematica Scienze Problem solving Finlandia 543 544548548 Francia 496511511519Germania 491503502513 Spagna 481485487 482Portogallo 478466 468 470Italia 476 466486469 Grecia 472 445 481448 Tunisia 375 359385345 Media Ocse 500 500 500 500 Fonte: Ocse. Punteggi medi dell'indagine 'Pisa' per tipo di competenza (anno 2003) Privato e pure bocciato'Più soldi alle private'. In passerella a Rimini, il ministro Giuseppe Fioroni ha annunciato ai ciellini festanti (ma un po' scettici) il suo favore all'aumento degli stanziamenti per le scuole private. Che, dall'introduzione della parità scolastica (centrosinistra) ai buoni scuola regionali (centrodestra) non sono mai state dimenticate, senza però mai decollare davvero. Nell'anno scolastico 2005-2006 gli iscritti alle scuole superiori paritarie erano 79.200 (1.904 in meno rispetto all'anno precedente): il 4 per cento del totale, concentrati a Nord. In parte sono scuole a pieno titolo, in parte sono quei diplomifici che hanno dato pessimo spettacolo agli ultimi esami di maturità, spedendo ragazzi che avevano pagato fior di quattrini a sostenere gli esami di Stato da privatisti anche laddove, in base a regole note da mesi e mesi, non potevano sostenerli perché c'era un tetto numerico. Quanto al rendimento, i dati 'Pisa' dell'Ocse dicono che in Italia la scuola privata non è affatto d'eccellenza. Anzi: le competenze in matematica di un quindicenne in un istituto privato sono, nella media, pari a quelle del suo collega nella scuola pubblica (cioè basse). Altrove, specie nei contesti anglosassoni, si evidenzia invece un divario netto, a favore della scuola privata: ma solo a causa di una autoselezione basata sul reddito. Depurati dall'effetto-background (cioè dal peso del contesto familiare e sociale), ecco che anche i bei risultati delle scuole private inglesi non brillano più tanto. Quanto all'Italia, depurati dall'effetto-background, i risultati della scuola privata crollano, e quella pubblica sale in vantaggio (sempre nei test ai quindicenni) di 27 punti. Il quindicenne? È un bel problemaLe pagelle del fallimento ce le danno gli organismi internazionali e sono quelli dell'indagine 'Pisa' dell'Ocse. Sono i voti dati ai quindicenni italiani dopo test specifici sulle competenze in lettura, matematica, scienze e problem solving: la capacità di risolvere i problemi, il ramo più secco del nostro sapere. Ma i numeri del fallimento li abbiamo anche in casa, e ci dicono che il disastro si concentra nel Mezzogiorno e nella scuola media. I dispersi Sono i giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno lasciato la scuola senza un diploma superiore né una qualifica professionale. Hanno solo la licenza di terza media. L'obiettivo europeo è portarli entro il 2010 sotto quota 10 per cento. In Europa sono intorno al 15, in Italia il 20,6. Vale a dire: un giovane su cinque è uscito da scuola senza un titolo utile, né sta facendo formazione in alcun modo. La Sicilia ha il record negativo, con il 30,4 per cento di giovani fuori da ogni formazione, pur avendo il record degli enti di formazione professionale: 2.700 (contro i 600 della Lombardia). Le medie Alla fine delle elementari, i bambini in ritardo sul regolare corso di studi sono il 4,2 per cento. Alla fine del terzo anno delle medie la percentuale dei ritardi è salita all'11. E ben il 37,3 ottiene la licenza di terza media per un soffio, con il voto 'sufficiente'. Nella stessa direzione vanno le indagini internazionali sulle competenze dei ragazzi: una comparazione dei dati Iea e Ocse, contenuta in una ricerca fatta degli economisti Piero Cipollone e Paolo Sestito (Ufficio studi di Bankitalia), mostra che alle elementari i bambini italiani ne sanno quanto gli altri, mentre dalle medie si evidenzia un forte calo, soprattutto in matematica e scienze. Il non fatto delle medie si svela alla fine del primo anno delle superiori: un iscritto su cinque lascia e il 35 per cento è promosso con almeno un debito formativo. Le conoscenze I punteggi conseguiti dai quindicenni italiani ci collocano al venticinquesimo posto nell'Ocse. Sulla base di tali dati, la ricerca di Cipollone e Sestito ha tracciato una mappa dei 'poveri in conoscenze': studenti che pur sapendo leggere non sono capaci di utilizzare la lettura per apprendere cose nuove, ragazzi che pur sapendo far di conto non sanno fare il cambio di una moneta. La quota di quindicenni 'poveri di conoscenze' nel Nord non supera il 5 per cento, nel Centro è sull'8 e nel Sud va dal 14 al 22. Insomma, a Nord siamo 'bravi come gli altri', per citare il titolo di uno studio curato da Luciano Abburrà che mette a confronto Lombardia, Veneto, Piemonte e Toscana con altre regioni Ue. Le medie superiori In parallelo alle differenze Nord-Sud, corrono quelle tra istituti.
fonte: http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=10892
"Cari amici, invio il presente articolo - qualora non lo conosceste già - sulla situazione della scuola italiana e sulla preparazione degli studenti. L'Italia si colloca agli ultimi posti della classifica Ocse, ma la situazione si fa addirittura drammatica se si considera il mezzogiorno d'Italia. Le colpe? Di tutti!I risultati? Il paese dei balocchi nel quale viviamo. Poveri noi."
Processo alla scuola
L'Espresso - 05-09-2007
L'Espresso - 05-09-2007
Il nostro sistema da vent'anni continua a peggiorare. E i nostri studenti sono sempre più ignoranti. Le colpe della politica, degli insegnanti e delle famiglie.Matematica: sex. Sulle pagelle degli studenti italiani meno bravi si legge ancora il 'sex' inventato nel secolo scorso per evitare che qualcuno trasformasse la i in t e proseguisse contraffacendo un bel 'sette'. Solo che adesso le pagelle sono scritte al computer e poi stampate, per cui una correzione con la biro sarebbe impossibile. Eppure, è rimasto il 'sex'. Per Domenico Starnone, scrittore ed ex insegnante, quella del 'sex' è una metafora potentissima della nostra scuola: della scuola invecchiata che non vuole cambiare, che non si arrende neanche all'evidenza. E che ci consegna, lo dicono i numeri italiani e i confronti internazionali, un sostanziale fallimento educativo. Nonostante tre riforme in dieci anni, nonostante i grandi proclami della politica, nonostante la spasmodica e spesso isterica attenzione delle famiglie, nonostante le agitazioni dei suoi 835 mila insegnanti. O forse proprio a causa loro: della politica, degli insegnanti, delle famiglie. Protagonisti e imputati nel processo alla scuola del 'sex'. Fallimento in cifre 'Nel Mezzogiorno italiano un quindicenne su cinque è povero di conoscenze'. L'allarme è risuonato fortissimo, qualche mese fa, non nell'aula del Parlamento, non in un comizio, non in un'assemblea, e ad ascoltarlo non c'erano studenti né professori né politici, ma compunti banchieri e uomini d'affari, convenuti in Banca d'Italia a sentire le 'Considerazioni' del governatore Mario Draghi. Ennesima bizzarria dell'Italia, ennesima supplenza della sua Banca centrale? Fatto sta che i dati denunciati da Bankitalia collocano la nostra scuola al venticinquesimo posto nell' Ocse. Quando sono stati pubblicati hanno suscitato discussioni e commenti perfino in Germania, paese nel quale gli studenti mostravano competenze inferiori alla media, ma superiori a quelle degli italiani, mentre da noi sono passati quasi inosservati. A quelle evidenze poi se ne sono aggiunte altre, ma non si può dire che intorno alla scuola sia nato quel clima da emergenza nazionale che potrebbe forse salvarla. Dove nasce la crisi? Col suo sguardo lungo e disincantato, Starnone colloca l'inizio della fine negli anni '80: fu allora che 'mentre negli altri paesi si scopriva il business dell'istruzione, da noi la scuola perse interesse agli occhi della politica e della società'. Un clima immortalato sin nel titolo dal suo 'Ex cathedra', libro-icona di una generazione di insegnanti che avevano sognato di rivoluzionare la scuola. Anche Marco Rossi Doria, 'maestro di strada' da trent'anni e fondatore del progetto Chance, da qualche mese consulente del ministero dell'Istruzione, fu parte di quella 'meglio gioventù' di insegnanti e intellettuali. Cita i dati sulla dispersione, legge le statistiche e sbotta: 'Altro che scuola di massa. Se uno su tre prende solo sufficiente alla licenza media e uno su cinque esce da scuola senza diploma né qualifica, siamo di fronte a un fallimento formativo di massa'. Dieci anni di riforme Eppure negli ultimi dieci anni la politica le mani nella scuola le ha messe, eccome. Rossi Doria non è sospettabile di simpatie morattiane quando dice alla sinistra: 'Smettiamola di imputare tutti i mali della scuola a Letizia Moratti, è una follia pensare di cambiare ogni volta la scuola col cambio di colore dei governi'. E di mani di colore ne sono state date tante, negli ultimi dieci anni: le regole sull'obbligo scolastico sono cambiate tre volte, sono stati aboliti e spostati esami, riformati i cicli, fatte e disfatte commissioni e resi autonomi i quasi 60 mila istituti della Repubblica. Senza con questo migliorare la scuola italiana: che resta 'senz'arte ma di parte', come ha sostenuto Luigi Berlinguer all'inizio dell'estate in un articolo sul 'manifesto' in cui denunciava la carenza della cultura scientifica, del metodo sperimentale e della musica nel nostro sistema educativo. Attirandosi lettere infuriate: 'Tu dov'eri?', è stata la domanda prevalente, soprattutto da parte degli insegnanti. Berlinguer era al governo, dal '96 al '98, prima che la rivolta del mondo della scuola inducesse il centrosinistra a mandarlo via. Con lui sparì la proposta, impallinata dagli insegnanti, di introdurre criteri di valutazione del lavoro dei docenti. Restò la novità principale: l'autonomia scolastica, con tutto il suo portato di sponsor, progetti, Pof (piani di offerta formativa delle singole scuole). Cosa hanno fatto le 57.557 scuole d'Italia finalmente autonome dal centralismo romano? Basta aprire un sito Internet di un istituto o recarsi a una riunione preparatoria alle iscrizioni per capirlo: un marketing di offerte e progetti di attività aggiuntive, rare novità sugli insegnamenti tradizionali. 'L'autonomia è diventata intrattenimento formativo', dice Starnone: 'Non ha portato soldi e ha introdotto l'incubo del Pof, burocratizzando ancora di più il lavoro degli insegnanti'. Sicché le nostre scuole si sono trasformate in progettifici, senza per questo avere più risorse: i fondi pubblici, a dispetto della sbandierata autonomia, sono rimasti fino all'anno scorso tutti vincolati agli specifici capitoli di bilancio - questo per i cancellini questo per i laboratori - mentre i famosi sponsor si sono visti poco. Assai spesso si chiedono soldi alle famiglie per fare corsi aggiuntivi, mentre i programmi tradizionali restano immutati e i laboratori deserti. Così l'autonomia, che esiste in molti dei sistemi scolastici al top delle classifiche mondiali, in Italia è diventata uno dei problemi, per tanti il problema principale. È successo 'perché è stata attuata male, da un corpo docente che non l'ha digerita, e poi vanificata dalla Moratti', sostiene Berlinguer; mentre gran parte del corpo docente, ben rappresentata da Paola Mastrocola, autrice del libro 'La scuola spiegata al mio cane', sogna di de-berlinguerizzare la scuola, e vagheggia un ritorno al passato, con tanto latino. E programmi tradizionali dettati da Roma. A proposito di programmi. Nel turbinio delle riforme ci si è dimenticati dell'essenziale: cosa e come si insegna, dove e perché nascono i 'poveri di conoscenze'. Perché la scuola italiana fallisce nell'educare al 'problem solving'? Perché dopo elementari decenti abbiamo il tracollo delle medie? Perché quando si parla di riforme ci si concentra sempre sui licei, mentre più della metà degli studenti frequenta tecnici e professionali? E perché una scuola apparentemente uguale per tutti a Sud tracolla? Mauro Palma, coordinatore dell'area educativa dell'Enciclopedia Treccani e co-autore di uno dei più diffusi manuali di matematica dei licei sperimentali, ha un buon punto di osservazione sull'insegnamento delle materie scientifiche. 'Fatte salve le sperimentazioni, nei licei siamo ancora fermi ai programmi dettati nel 1944. Quanto alle commissioni per i nuovi programmi, per anni si è andati avanti con criteri parlamentari: per mediare tra le varie posizioni, mettevano dentro un po' di tutto', racconta. Il passaggio dai programmi alle linee-guida, omaggio all'autonomia scolastica, non ha migliorato le cose. Palma condanna quanto fatto e quanto non fatto sull'insegnamento della matematica: 'Bisogna chiedersi perché i bambini, che cominciano a imparare proprio dai numeri, a un certo punto se ne distaccano. E perché la materia più insegnata nella scuola italiana è anche quella in cui andiamo peggio'. Secondo la sua diagnosi, il luogo in cui qualcosa si rompe è la scuola media, 'quando si perde il riferimento problematico'; molto pesa anche il contesto culturale generale, 'per cui una persona colta deve sapere il latino, ma può tranquillamente sbagliare una percentuale senza vergognarsene'. Gli insegnanti Stanchi di Pof e progettifici, malpagati, sempre meno gratificati. Gli insegnanti italiani non se la passano bene. Ce lo dicono persino i loro matrimoni, sostiene il sociologo Antonio Schizzerotto, che nel tipo di nozze di maestre e prof ha rintracciato un declino della desiderabilità sociale della professione. Ma siamo sicuri che siano senza peccato, nella crisi della scuola? Com'è fatta e come si muove la classe insegnante? I dati generali ci dicono che è più anziana della media dei lavoratori (età media 49 anni, nei prossimi sei anni ne andranno in pensione oltre 200 mila) e per i tre quarti fatta da donne. Sono al 60 per cento laureati, lavorano in media 15 ore a settimana meno degli altri. Il numero di precari è enorme: 124 mila su 835 mila. Per un giovane che si avvia all'insegnamento, la probabilità di avere un contratto a termine è 25 volte superiore che in qualsiasi altro settore. È quanto sostiene un lavoro della Banca d'Italia, che sottolinea: in questo caso la flessibilità non aumenta l'efficienza, ma la abbatte. Lo stesso studio dà un indizio decisivo per chi voglia scoprire cosa non va nella scuola: la giostra annuale degli insegnanti. Un dato per tutti: un docente su cinque cambia scuola da un anno all'altro. Una girandola che non è dovuta solo ai precari: le richieste di trasferimento dei prof di ruolo verso la scuola preferita riguardano un terzo del turn-over, 50 mila all'anno. I criteri? Tutti burocratici e anagrafici, niente a che vedere col merito né con i bisogni delle scuole. Così, si assiste ogni anno a esodi continui: prevalgono i movimenti verso Sud e all'interno del Sud; quanto ai tipi di scuola, c'è una fuga da professionali e medie. Dunque, la mappa dei trasferimenti ricalca quella delle zone nere del sistema scolastico: medie, professionali e Mezzogiorno. Non è certo un caso. Può reggere un sistema nel quale ciascuna scuola è autonoma e diversa dall'altra, ma i docenti sono tutti identici, un sistema in cui un professore bravo non ha alcun incentivo ad andare dove c'è più bisogno di lui, cioè una scuola difficile? Rossi Doria, che nei quartieri a rischio di Napoli ci è andato per scelta, dice che no, non può funzionare. Per aumentare l'eguaglianza, dice, dobbiamo accettare le differenze: così come fanno in Francia, dove gli insegnanti che vanno nelle Zone di educazione prioritaria (le Zep) hanno incentivi economici e di punteggio. 'Con l'egualitarismo standardizzato finisci per fare una scuola di classe, dove vanno bene solo i licei'. Insomma, bisognerebbe costruire un meccanismo, o almeno dare degli incentivi, perché i migliori vadano nelle scuole peggiori: ma quali sono 'i migliori'? Ritorna l'argomento tabù, quello della valutazione: quello su cui, anni luce fa, esplosero Gilda e Cobas, contro i primi timidi tentativi in tal senso. Negli staff tecnici del ministero sono allo studio metodi per valutare l'andamento delle classi, modo indiretto per valutare l'operato dei professori. I quali, dice Rossi Doria, prima o poi qualche cambiamento dovranno accettarlo: 'Si considerano dipendenti pubblici, ma sono professionisti del sapere, devono abbandonare una visione rivendicativa, capire che è cambiata la scuola e la società, sono cambiate le famiglie'. La famiglia Intorno alla scuola invecchiata senza crescere, alla scuola del sex in pagella, è cambiato tutto, a partire da studenti e famiglie. 'La divisione degli studenti non passa semplicemente tra figli di poveri e figli di ricchi', constata Starnone: 'A scuola arriva anche un ceto svantaggiato culturalmente, che però dal punto di vista materiale ha tutto. E allo stesso tempo i figli del ceto medio colto, quelli che una volta gratificavano gli insegnanti, sono esposti come tutti a violenza, alcol, droga. La violenza a scuola c'è sempre stata, persino in 'Cuore' Garrone, che era uno buono, andava a scuola col coltello: solo che se prima c'era una rissa tra due, il terzo interveniva per separarli, adesso si ferma per filmarli'. Ma se la scuola è impreparata a tutto ciò, non è che le famiglie l'aiutino a migliorare. Sborsano sempre più soldi, dai libri ai corsi aggiuntivi ai materiali, e sono più presenti di prima; ma spesso arrivano come clienti a guardare la vetrina della scuola e quando qualcosa non va, protestano violentemente o vanno dal giudice. 'Vale nella scuola quello che vale fuori: chi batte i pugni sul tavolo vince', dice amaro Starnone. 'Le famiglie spesso delegano, non costruiscono più il super Io, ma poi se la scuola impone delle regole severe, molti si infuriano', commenta Rossi Doria. La famiglia-cliente non mette sotto processo pubblico la scuola, si limita a difendere il proprio discendente, a suon di pugni o di ricorsi legali. C'è poi un altro effetto-famiglia, ed è quello antico: nonostante tutti i cambiamenti, resiste il fenomeno per cui il background familiare ha un peso decisivo negli esiti scolastici. Nei paesi nei quali la scuola è migliore, diventano meno decisivi il reddito o l'istruzione di papà e mamma: anche qui, numeri e studi sul fenomeno mettono l'Italia in posizione svantaggiata. L'economista Daniele Checchi ha scandagliato la relazione tra i sistemi scolastici e peso dei background familiari, tra scuola e promozione sociale: vien fuori che, se negli anni tutti hanno avuto qualche opportunità in più, non è cambiata la mappa delle diseguaglianze. Lo si vede anche nelle macro-differenze, quelle tra Nord e Sud: il 5 per cento dei genitori di quindicenni del Sud ha al massimo la licenza elementare, il 32 per cento si ferma a quella media. Nel Nord Est, le stesse percentuali scendono all'1,6 e al 19,8 per cento. Insomma, la famiglia e il territorio continuano a fare la differenza nella scuola pubblica italiana. Nel bene e nel male. n Retrocessi agli ultimi banchi Matematica, lettura, scienze e problem solving: Italia agli ultimi posti Lettura Matematica Scienze Problem solving Finlandia 543 544548548 Francia 496511511519Germania 491503502513 Spagna 481485487 482Portogallo 478466 468 470Italia 476 466486469 Grecia 472 445 481448 Tunisia 375 359385345 Media Ocse 500 500 500 500 Fonte: Ocse. Punteggi medi dell'indagine 'Pisa' per tipo di competenza (anno 2003) Privato e pure bocciato'Più soldi alle private'. In passerella a Rimini, il ministro Giuseppe Fioroni ha annunciato ai ciellini festanti (ma un po' scettici) il suo favore all'aumento degli stanziamenti per le scuole private. Che, dall'introduzione della parità scolastica (centrosinistra) ai buoni scuola regionali (centrodestra) non sono mai state dimenticate, senza però mai decollare davvero. Nell'anno scolastico 2005-2006 gli iscritti alle scuole superiori paritarie erano 79.200 (1.904 in meno rispetto all'anno precedente): il 4 per cento del totale, concentrati a Nord. In parte sono scuole a pieno titolo, in parte sono quei diplomifici che hanno dato pessimo spettacolo agli ultimi esami di maturità, spedendo ragazzi che avevano pagato fior di quattrini a sostenere gli esami di Stato da privatisti anche laddove, in base a regole note da mesi e mesi, non potevano sostenerli perché c'era un tetto numerico. Quanto al rendimento, i dati 'Pisa' dell'Ocse dicono che in Italia la scuola privata non è affatto d'eccellenza. Anzi: le competenze in matematica di un quindicenne in un istituto privato sono, nella media, pari a quelle del suo collega nella scuola pubblica (cioè basse). Altrove, specie nei contesti anglosassoni, si evidenzia invece un divario netto, a favore della scuola privata: ma solo a causa di una autoselezione basata sul reddito. Depurati dall'effetto-background (cioè dal peso del contesto familiare e sociale), ecco che anche i bei risultati delle scuole private inglesi non brillano più tanto. Quanto all'Italia, depurati dall'effetto-background, i risultati della scuola privata crollano, e quella pubblica sale in vantaggio (sempre nei test ai quindicenni) di 27 punti. Il quindicenne? È un bel problemaLe pagelle del fallimento ce le danno gli organismi internazionali e sono quelli dell'indagine 'Pisa' dell'Ocse. Sono i voti dati ai quindicenni italiani dopo test specifici sulle competenze in lettura, matematica, scienze e problem solving: la capacità di risolvere i problemi, il ramo più secco del nostro sapere. Ma i numeri del fallimento li abbiamo anche in casa, e ci dicono che il disastro si concentra nel Mezzogiorno e nella scuola media. I dispersi Sono i giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno lasciato la scuola senza un diploma superiore né una qualifica professionale. Hanno solo la licenza di terza media. L'obiettivo europeo è portarli entro il 2010 sotto quota 10 per cento. In Europa sono intorno al 15, in Italia il 20,6. Vale a dire: un giovane su cinque è uscito da scuola senza un titolo utile, né sta facendo formazione in alcun modo. La Sicilia ha il record negativo, con il 30,4 per cento di giovani fuori da ogni formazione, pur avendo il record degli enti di formazione professionale: 2.700 (contro i 600 della Lombardia). Le medie Alla fine delle elementari, i bambini in ritardo sul regolare corso di studi sono il 4,2 per cento. Alla fine del terzo anno delle medie la percentuale dei ritardi è salita all'11. E ben il 37,3 ottiene la licenza di terza media per un soffio, con il voto 'sufficiente'. Nella stessa direzione vanno le indagini internazionali sulle competenze dei ragazzi: una comparazione dei dati Iea e Ocse, contenuta in una ricerca fatta degli economisti Piero Cipollone e Paolo Sestito (Ufficio studi di Bankitalia), mostra che alle elementari i bambini italiani ne sanno quanto gli altri, mentre dalle medie si evidenzia un forte calo, soprattutto in matematica e scienze. Il non fatto delle medie si svela alla fine del primo anno delle superiori: un iscritto su cinque lascia e il 35 per cento è promosso con almeno un debito formativo. Le conoscenze I punteggi conseguiti dai quindicenni italiani ci collocano al venticinquesimo posto nell'Ocse. Sulla base di tali dati, la ricerca di Cipollone e Sestito ha tracciato una mappa dei 'poveri in conoscenze': studenti che pur sapendo leggere non sono capaci di utilizzare la lettura per apprendere cose nuove, ragazzi che pur sapendo far di conto non sanno fare il cambio di una moneta. La quota di quindicenni 'poveri di conoscenze' nel Nord non supera il 5 per cento, nel Centro è sull'8 e nel Sud va dal 14 al 22. Insomma, a Nord siamo 'bravi come gli altri', per citare il titolo di uno studio curato da Luciano Abburrà che mette a confronto Lombardia, Veneto, Piemonte e Toscana con altre regioni Ue. Le medie superiori In parallelo alle differenze Nord-Sud, corrono quelle tra istituti.
fonte: http://www.didaweb.net/fuorire
Credete davvero che lo legga tutto? se avete escogitato un'ulteriore modalità per tentare di far perdere la vista a qualcuno....con me non ci riuscirete!! (scherzo!)
RispondiEliminaE' enorme caspita!!! Voi pensate che qualcuno lo leggerà??
RispondiEliminaChi riuscirà a leggere l'intero articolo, avra in regalo un paio di occhiali??
RispondiEliminaDato l'esoso numero di pagine, per evitare di perdere il segno, volevo sapere se regalate anche segnalibri, altrimenti ci levo mano.
RispondiEliminase costantino pensa che siamo interessati a leggere questa sua copiatina, spero che le sue aspirazioni politiche siano piu' chiare di quanto ne dimostra con questo allegato. Inoltre cerchiamo di concentrare le nostre attenzioni sui problemi scolastici locali, quelli nazionali o internazionali lasciamoli agli statistici di professione.
RispondiEliminaIO NON L'HO LETTO MA TRATTANDOSI DI SCUOLA VI INFORMO SULLE ULTIME NOVITA' DEL MINISTRO FIORONI SULL'USO DI TELEFONI E QUANTALTRO
RispondiEliminaChi diffonde immagini con dati personali altrui non autorizzate - tramite internet o mms - rischia grosso, anche a scuola: multe da 3 a 18 mila euro, o da 5 a 30 mila euro nei casi più gravi (che possono essere irrogate dall’Autorità garante della privacy) insieme a sanzioni disciplinari che spettano invece alla scuola. Le istituzioni scolastiche autonome hanno inoltre il potere nei regolamenti di istituto di inibire o sottoporre a opportune e determinate cautele l’utilizzo di mms, di registrazioni audio e video, di fotografie digitali all’interno dei locali scolastici. Lo sottolinea il ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni in una Direttiva, inviata a tutte le scuole, con il parere favorevole del Garante della privacy.
Sempre più di frequente accade che immagini e conversazioni di altri studenti, di docenti, di persone che operano all’interno della comunità scolastica siano, a loro insaputa, indebitamente diffuse tramite internet o attraverso scambi reciproci di mms.
Una circolazione incontrollata di filmati, registrazioni audio, fotografie digitali – scrive Fioroni - può dar luogo a gravi violazioni del diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali degli interessati, tanto più grave quando riguardi informazioni relative allo stato di salute, alle convinzioni religiose, politiche, sindacali o altri dati sensibili.
L’attività di un laboratorio didattico che vuole attuare la ricerca metodologica disciplinare (R.M.D.) in chiave di continuità verticale MEDIE – BIENNIO si colloca nell’ambito dell’innovazione, elemento portante e irrinunciabile della scuola dell’autonomia, ambiente d'apprendimento nuovo, in cui si possono potenziare e migliorare la qualità professionale e l’offerta formativo nel territorio.
RispondiEliminaLo scenario che si delinea è quindi diverso da quello della scuola tradizionale e può e deve costituire un’occasione per valorizzare la professionalità dei docenti che potranno operare senza essere soffocati da mille ostacoli burocratici e formali, da quella logica degli adempimenti che ha reso lunga e faticosa l’attività d'insegnamento/apprendimento.
L’autonomia, ampliando la sfera delle decisioni delle istituzioni scolastiche, singole o in rete, sul piano organizzativo/didattico, dei rapporti con il contesto socio-territoriale e le istituzioni locali, rappresenta uno strumento per garantire a chi opera nella scuola un ventaglio di opportunità diversificate e flessibili. La trasformazione proposta è già in atto nel sistema scuola; è quindi possibile già oggi attivare processi di innovazione, migliorare l’efficienza del servizio attraverso la flessibilità dei processi formativi sulla base delle esigenze concrete espresse localmente attraverso la R.M.D. effettuata da reti di scuole in funzione della realizzazione di un progetto.
Un secondo asse del cambiamento è rappresentato dal progetto di trasformazione degli attuali ordinamenti su cui poggia l’impianto del nostro sistema di istruzione; attraverso la riforma dei cicli, si cancellerà l’ordinamento attuale che si basa su tre rigidi strumenti organizzativi (elementari – medie – superiori) per passare ad un sistema formativo verticale basato sulla continuità dei percorsi di apprendimento.
In questo quadro di rinnovamento va collocato il documento dei contenuti essenziali per la formazione di base elaborato dai Saggi, in cui sono delineati i saperi di base che dovranno possedere tutti i giovani all’uscita dalla formazione di base obbligatoria, su cui dovranno poggiare quelle capacità di adattamento e cambiamento che sono sempre più richieste dalle trasformazioni in corso in ogni ambito della vita sociale. I “Saggi” criticano anche l’eccesso di enciclopedismo delle attuali materie di insegnamento e chiedono un alleggerimento dei contenuti disciplinari evidenziando le necessità di puntare su una “nuova modalità” di organizzare i programmi che dovranno essere basati su “traguardi irrinunciabili”, su una “serie succinta di tematiche portanti”. Il compito che attende la scuola in ambito didattico è difficile, perché si chiede di mettere in discussione l’intera struttura pedagogico/didattica rovesciando la logica formativa degli ultimi settant’anni.
Il programma cede, infatti, il posto a un impianto modulare che persegue obiettivi formativi codificati a livello nazionale, con definizione di standard di riferimento in termini di competenze che ogni alunno deve ottenere al termine di determinati cicli di studio; tutto ciò andrà attuato con un insegnamento flessibile, diversificato, liberamente organizzato sul piano metodologico e educativo.
L’attività didattica da svolgere in quest'ambito è e sarà quindi metodologicamente diversa da quella svolta nella prassi tradizionale; la scuola dell’autonomia è quindi un ambiente in cui si può sviluppare un apprendimento nuovo, cooperativo, fatto di ricerca metodologica, progettazione adottando il metodo del confronto fra docenti, funzioni, istituzioni, soggetti.
Il confronto, spesso più dichiarato che agito nella scuola, è importante e necessario, in quanto promuove l’innovazione, legittima e motiva il lavoro e l’esperienza dei docenti e degli alunni.
Proprio per favorire il confronto tra docenti di ordine di scuole diverse, ma contigue, appartenenti allo stesso territorio, si sono progettati negli scorsi anni scolastici laboratori sulla tematica della continuità in un’ottica di ricerca metodologica disciplinare. La continuità è uno dei principi/chiave della riforma dei cicli; l’innalzamento dell’obbligo e il riordino dei cicli pongono in primo piano la necessità di proiettare percorsi verticali coesi e coerenti in modo da tentare di promuovere un effettivo successo formativo.
Riguardo alla scelta fatta dai gruppi di cui sintetizzerò il lavoro di effettuare ricerca metodologica disciplinare secondo le modalità proposte dalla Didattica Breve è opportuno fornire alcune motivazioni; nella scuola italiana, come osserva F. Piazzi, da anni si fronteggiano, agli estremi opposti, una pedagogia ordinata sul soggetto, protagonista unico della relazione educativa al punto di subordinare a sé l’oggetto di studio e quindi annullare il ruolo dell’insegnante e una pedagogia per obiettivi, dirigistica e programmatoria, poco rispettosa della soggettività del discente.
Secondo la Didattica Breve la via della pedagogia è quella dell’integrazione sistemica; il gruppo della D.B. è incline ad accordare il massimo peso al discente, ma ritiene che sia impossibile portare avanti una seria ricerca metodologica disciplinare su tre fronti, (docenti, discenti, oggetto di studio).
Il rischio diventa, infatti, che la ricerca sia condotta da generalisti che sanno come si insegna l’universo mondo, ma non quello disciplinare (M. Bettini). Per ovviare a questo rischio, la D.B. si riserva il compito di attuare una seria R.M.D. privilegiando la disciplina, cioè l’oggetto culturale, i contenuti che una società ritiene degni di essere trasmessi alle nuove generazioni, quelli che Bettini definisce saperi di responsabilità.
La Didattica Breve ritiene quindi che nell’oggetto culturale risieda la maggior legittimazione dell’insegnamento; in assenza dell'oggetto culturale non è, infatti, possibile sostenere la rilevanza e neppure l’opportunità dell’apprendere.
La Didattica Breve si occupa quindi delle agevolazioni all’apprendimento derivanti da una particolare razionalizzazione della materia individuando strategie e percorsi operativi per renderla più adatta ad essere appresa dallo studente.
Fasi e processi della scrittura:
lo schema di Hayes e Flower (1980) rappresenta il "processo della scrittura": chi scrive passa attraverso tre aree:
1. Area del compito e della comunicazione
2. Area della scrittura vera e propria
3. Area della memoria dello scrittore.
Il processo è caratterizzato dalla ricorsività; Hayes e Flower sono stati i primi a dimostrare che un'abilità complessa come lo scrivere comporta alcune fasi precise. Prima di loro la scrittura era vista solo a partire dal testo finale prodotto e non dal processo che porta lo scrittore esperto a comunicare qualcosa per iscritto.
Tre sono le fasi del processo:
1. Pre-scrittura : prima di stendere qualcosa sulla carta chi scrive si pone due tipi di domande: qual è lo scopo del testo? A chi scrivo?, poi c'è il momento in cui si pianificano le proprie informazioni; questa fase porta a un testo che espone in modo sintetico e generale le informazioni che si presenteranno nel testo, nell'ordine in cui saranno esposte.
2. Fase della scrittura e della riscrittura: questa fase passa attraverso la scrittura di brevi testi da due a quindici righe (paragrafi) che sviluppano un punto preciso della scaletta. Dopo aver elaborato i paragrafi, è importante che chi ha scritto si ponga una serie di domande di controllo rileggendo i singoli paragrafi e riscrivendo quello che non funziona o funziona poco.
3. Fase della revisione (o post - scrittura): è un processo fondamentale, che porta a migliorare sensibilmente il proprio testo cambiandolo e potenziandolo nei suoi aspetti comunicativi.
Tipi di scrittura
La scrittura può essere spontanea (richiede scarsa pianificazione e revisione), pianificata (è una scrittura controllata, in cui chi scrive passa attraverso le tre fasi del processo).
Dal progetto al prodotto.
L'importanza delle componenti varia a seconda delle ragioni per cui si scrive e quindi del tipo di testo che si vuole comporre; Corno suddivide la scrittura in sei categorie:
1. Scrittura personale: chi scrive, scrive per se stesso;
2. Scrittura per lo studio: si pone sulla linea comunicativa io - io. Migliora la comprensione.
3. Scrittura pubblica: si pone sulla linea comunicativa io - altri. La scrittura accademica è un sottoinsieme di questa scrittura.
4. Scrittura creativa: si pone sulla linea comunicativa io - altri. E' molto praticata nella scuola; è molto complessa, in quanto è controllata da severe convenzioni.
5. Scrittura sociale: comprende testi il cui scopo è mantenere relazioni sociali con le persone che appartengono al proprio gruppo, come famigliari e amici.
6. Scrittura istituzionale: è il tipo di scrittura più complesso. Include tutti i testi in cui allo scrivere è riconosciuto uno specifico ruolo istituzionale o professionale; a parte alcuni tipi di testo condivisi (es. relazioni), ogni categoria professionale ha testi suoi specifici.
Osservazioni
Alcuni testi della scrittura istituzionale richiedono una certa documentazione; all’esame di stato testi, dati, elementi vengono forniti contestualmente alla prova.
E` quindi importante addestrare gli studenti già` dagli ultimi anni della scuola di base alla scrittura di sintesi; essa riguarda tutti quei formati testuali che, a partire da un altro testo, ne prelevano alcune informazioni e le organizzano per poter poi essere sviluppate in una composizione scritta.
Appartengono a questo tipo di scrittura:
• La parafrasi
• Il riassunto
• Gli appunti, le note
• La schedatura di un libro o di un articolo.
Saper sintetizzare è un'abilità` fondamentale, in quanto implica un’operazione testuale che permette di trarre giovamento dalle più diverse situazioni; serve non solo a conservare le informazioni, ma rappresenta già un passo fondamentale per la loro comprensione.
Riassumere non e` quindi un’attività passiva di semplice annotazione, ma qualcosa di più raffinato, in quanto coinvolge la capacita` di valutazione e selezione delle informazioni.
A) Dopo aver condiviso i principi esposti, un gruppo di insegnanti di Monza di scuola media inferiore e superiore, coordinati da Claudia Laffi, ha deciso progettare un modulo di scrittura funzionale; l’ambito in cui si è costituito il gruppo che ha prodotto il modulo è il corso di aggiornamento La Ricerca Metodologica Disciplinare nell'area letteraria organizzato nell’anno scolastico 1999/2000.
Il corso, cui hanno partecipato docenti di scuola media inferiore e superiore in servizio a Monza, è nato con l’obiettivo di mettere a confronto docenti operanti nelle scuole medie e medie superiori che nel territorio sono collegate dal flusso di alunni. Il progetto è stato attivato allo scopo di realizzare i seguenti obiettivi:
- operare insieme nel senso della ricerca della continuità per far scaturire scampoli di scuola diversa, capace di valorizzare l’alunno come soggetto che progetta e inventa il proprio futuro;
- far nascere progetti operativi finalizzati alla costruzione di un cassetto di attrezzi di abilità irrinunciabili in chiave verticale adottando una didattica transdisciplinari.
Tutti i partecipanti al corso, dopo momenti di discussione comune, sono giunti alla conclusione che una programmazione efficace si basa sull’individuazione del grado di competenza da raggiungere a quelle quote che scandiscono la fine di un ciclo e l’inizio del ciclo successivo.
Il gruppo ha deciso di progettare un modulo sul saggio breve, prova di scrittura trascurata soprattutto nelle superiori in cui il tipo di esercizio scritto prevalente rimane il tema; il saggio breve è una delle prove di tipo nuovo proposte dalla disciplina degli Esami di Stato.
Gli insegnanti sono partiti dalla discussione su una definizione del saggio breve convincente per tutti; a proposito di saggio il Devoto Oli così recita: esposizione scritta che intende proporsi come il frutto dello studio e dell’approfondimento personale di un tema delimitato (di carattere storico, biografico o critico) con uno sviluppo massimo che può giungere alla monografia. Il significato deriva dall’inglese essay, lingua in cui fu usato in questo senso dal XVII secolo. Un secondo significato è quello di prova per l’accertamento della qualità e proprietà di qualcosa; ultimo significato è quello di assaggio, prova dimostrativa. In tal senso il termine deriva dal latino exagium (peso), collegato al verbo exigere che significa pesare esaminare Nel significato odierno c’è molto del primo significato, ma qualcosa anche del secondo, in quanto il saggio può essere definito uno scritto critico, di argomento e misure limitate, che è anche un assaggio di lavoro più ampio e sistematico.
A dare questo valore al termine fu Michele de Montaigne (1533 – 1892), autore di un’opera intitolata Essais, in cui sono presentati con sottile spirito critico i temi filosofici, morali e religiosi propri della cultura del suo tempo.
Nel 1597 il termine fu ripreso dal filosofo Francesco Bacone per un’opera di argomento politico e morale, i Saggi. I due autori si richiamavano ciascuno ad una tradizione diversa: Montaigne ,infatti, fa riferimento alle lettere degli umanisti, alle raccolte di proverbi, alle raccolte di Platone e Luciano, interpretandoli come una sorta di dialoghi con se stesso. Bacone si riferisce alle epistole di Seneca a Lucilio, interpretandole come meditazioni sparse: ognuno dei due usa quindi il termine in senso particolare e inaugura una tradizione diversa: da Montaigne parte la tradizione come esplorazione personale della propria vitalità e delle proprie impressioni; da Bacone ha avvio il saggio come analisi razionale, particolareggiata e impersonale. In quest’ultimo ambito rientra Locke (Saggio sull’intelletto umano, 1690) e molti filosofi fino all’età contemporanea. La prima tradizione ha avuto un largo sviluppo in tutta la letteratura moderna, soprattutto con lo sviluppo delle riviste e dei giornali.
La tradizione del saggio è molto sviluppata in Germania, dove è indicato con il termine inglese essay, definito da F. Schlegel una intellektuelles Gedicht, in età romantica e contemporanea. In Italia critici e storici della letteratura nel secolo scorso, usarono spesso per esprimersi la forma saggistica. La lingua inglese, con termini derivati dal francese quali essai e essaist, è stata il tramite per cui questi significati si sono introdotti anche in Italia e in generale nella cultura europea.
In ambito didattico il saggio è una trattazione critica di tipo accademico, libera, cioè da ogni pesante sfoggio di erudizione e da esigenze, spesso solo estrinseche, di completezza e sistematicità.
L’aggettivo breve si riferisce al fatto che il saggio, che nasce come esercitazione scolastica o universitaria nel sistema educativo anglosassone, deve essere svolto entro spazi definiti.
Il saggio breve è un’attività di scrittura funzionale finché non utilizzata, se non raramente come prova scritta cui sottoporre gli studenti, cui da generazioni sono assegnati temi.
È opportuno aprire una finestra sulla scrittura: la scuola italiana ha per lo più relegato l’insegnamento della scrittura nella scuola dell’obbligo. Nelle superiori, soprattutto al triennio, osserva F. Piazzi (introduzione a Percorsi di scrittura, I.R.R.S.A.E. Emilia Romagna, Bologna 1998), lo scritto è solo strumento di valutazione e non c’è una specifica didattica dello scrivere, se si eccettua la correzione.
Mentre nella scuola dell’obbligo si sperimentano diversi generi testuali, nelle scuole superiori il tipo di esercizio scritto prevalente rimane il tema.
A scuola poi si scrive poco, nonostante vengano dedicate molte ore (in genere tre) alle prove scritte. Questa situazione viene denunciata da anni da linguisti come De Mauro, Corno, e esperti di didattica quali D. Bertocchi, M.T. Serafini, il gruppo del Giscel; i saggi stessi osservano che il tema è inadeguato come strumento di valutazione dell’abilità dello scrivere.
Nel documento sui contenuti essenziali per la formazione di base si afferma che i docenti (soprattutto delle superiori) devono considerare la scrittura non una qualità innata, ma un’abilità da costruire gradualmente progettando percorsi in cui far scrivere molti testi brevi (non più di un’ora) di tipo diverso; è opportuno anche migliorare la qualità delle istruzioni fornendo precise consegne riguardo allo scopo, al destinatario, al tipo testuale e precisando, in un rapporto didattico a carte scoperte, gli obiettivi che saranno valutati.
Fra temi e saggi c’è qualche analogia, ma si tratta di due prove ben diverse; l’elemento comune consiste nella possibilità di assegnare, e quindi svolgere, temi o saggi su argomenti vari (morali, filosofici, religiosi, letterari, ecc.).
La differenza più significativa è la seguente: chi scrive un tema non può consultare alcun repertorio, in quanto il tema era all’origine un esercizio di retorica, per il quale l’oratore non poteva valersi di alcun supporto scritto.
Il saggio parte dal presupposto che, per scrivere con efficacia e in sintesi su un argomento, occorre disporre di dati e saperli selezionare nel modo migliore. È quindi lecito, prima di scrivere, utilizzare strumenti di informazione e consultazione per reperire e controllare le notizie.
Il saggio poi deve essere svolto entro spazi definiti, mentre il tema non ha alcun limite.
Il saggio infine è critico, cioè è una forma di scrittura in cui emerge in primo piano l’espressione di un punto di vista personale intorno a un problema o a un argomento; chi scrive non deve quindi solo dimostrare di aver appreso certe nozioni o di saper argomentare tesi altrui, ma di essere in grado di sviluppare una propria opinione argomentandola in modo adeguato.
Il saggio breve è quindi un’attività complessa che, nella prassi didattica, va preparata con gradualità a partire dalla Scuola Media; Bereiter ad esempio osserva che, lavorando con alunni da 11 a 14 anni, si deve tenere conto del fatto che in questo periodo avviene una graduale evoluzione verso la capacità di gestire dei processi di sempre maggior astrazione e capacità metacognitiva.
Già in I Media c’è il passaggio dallo scrivere associativo, cioè raccontare in modo comprensibile e efficace episodi relativi all’esperienza diretta, allo scrivere performativo e comunicativo; è opportuno e possibile quindi mettere le basi della produzione di testi espositivo/descrittivi e con strutture argomentative non assegnando però testi da produrre, ma domande di comprensione e relazioni.
In II Media è importante far uscire i compiti di scrittura dal legame con lo schema narrativo facendo comporre testi il cui contenuto e la cui struttura siano legati allo scopo e al destinatario, come la relazione. Per relazione si intende un testo di tipo espositivo – descrittivo finalizzato a esporre conoscenze attinte a varie fonti e da utilizzarsi per scopi diversi.
È opportuno partire da una relazione su esperienza concreta; fin dalla II Media gli studenti devono essere abituati a esporre per iscritto i più diversi tipi di conoscenze, collegati a diversi campi disciplinari.
In III media l’essay deve acquistare un suo spazio e una sua importanza; è importante che gli allievi si abituino ad esporre per iscritto un contributo di informazioni e di pensiero cui si è arrivati studiando un argomento o attraverso un lavoro di consultazione di fonti di ogni tipo. La storia, la geografia, le scienze naturali offrono occasioni continue per la produzione di questo tipo di testo, che non è abbastanza praticato nella scuola italiana.
Questo testo, spesso breve, richiede destrezza e precisione; la produzione di questi testi potrebbe essere collegata alla verifica scritta nel campo delle materie prima citate. È importante che, delineando un curricolo di scrittura nella scuola media, chi insegna non pretenda troppo presto la produzione di questi testi (ad esempio in I Media), imposti il lavoro gradualmente dalla comprensione, insegni a scrivere relazioni (il saggio) con domande, poi tracce e solo alla fine chieda la produzione autonoma; solo con una lenta gradualità si può arrivare allo scrivere epistemico, cioè a vivere consapevolmente l’esperienza della scrittura come creatrice di pensiero.
Al biennio si può attuare una didattica della generalizzazione e della focalizzazione del materiale da consultare prima di scrivere il saggio; essendo la quantità di informazioni raccolte inevitabilmente sempre superiore a quelle che troverà posto nel saggio, è necessario selezionare in base alla pertinenza. È quindi importante attuare una seria didattica del riassumere facendo emergere quali competenze rientrino nella competenza riassuntiva e collegando l'attività di riassumere alla competenza testuale; il riassunto è infatti il procedimento principale con cui cogliere l’unità di un testo (identificandone il topic, cioè il tema principale).
La linguistica testuale è applicabile in chiave verticale dalla Scuola Media al Triennio, ovviamente a gradi diversi di approfondimento; secondo Simone c’è un forte nesso tra scrittorietà e testualità (capacità di adoperare il testo), abilità che nasce nel bambino a circa undici anni.
Prima di avviare il lavoro di gruppo, è stato utile operare alcune riflessioni sulle caratteristiche del saggio breve.
ELEMENTI IRRINUNCIABILI DELLA CONSEGNA:
- argomento;
- forma / modalità comunicativa;
- destinatario
- spazio disponibile;
- tempo disponibile;
- documentazione disponibile.
Chi scrive un saggio breve, ad esempio in sede d’esame, deve essere addestrato a compiere una serie di operazioni, quali:
- darsi il tempo necessario a esaminare e capire bene la traccia;
- analizzare con attenzione le consegne relative alla modalità comunicativa in rapporto al destinatario;
- scegliere gli elementi su cui puntare per la stesura del saggio;
- seguire con scrupolo le indicazioni di spazio che vengono fornite;
- saper schedare le informazioni selezionandole in base alla pertinenza.
Dopo aver compiuto queste operazioni (di analisi delle consegne e schedatura delle informazioni), si passa alla fase di progettare il testo.
Un ottimo sistema di progettare è costituito dall’elaborazione di una scaletta.
PROGETTAZIONE DEL TESTO.
La scaletta aiuta a decidere:
1. come cominciare; nell’introduzione è opportuno che siano presenti l’esposizione del problema, una breve storia del fenomeno (quando è nato, dove è nato, in quali tempi si è riproposto, in quali luoghi, in quali forme si è manifestato);
2. come sviluppare: si procede alla stesura con la parte espositiva e argomentativa (analisi delle cause e delle conseguenze, descrizioni di situazioni esemplari, esposizione del giudizio personale, citazioni di dati a sostegno, fonti utilizzate, interpretazione dei dati);
3. come concludere: nella conclusione si può fare riferimento al significato del fenomeno alla luce delle conoscenze attuali, valutazione della sua importanza, valutazioni dell’opportunità di studiarlo ulteriormente.
Per scrivere il testo, occorre riempire la scaletta di concetti, descrizioni, opinioni, dati in parte desunti dalla schedatura, in parte frutto della rielaborazione personale.
Prima di stendere materialmente il testo, è opportuno che lo studente torni alla consegna, e precisamente all’identificazione del destinatario per sapere quale registro linguistico e quale stile adottare.
La scelta cadrà su uno stile più indirizzato alla chiarezza e alla precisione dell’esposizione che non alla creatività personale; sarà opportuno operare scelte lessicali adeguate all’argomento e, se necessario, utilizzare termini specialistici.
REVISIONE
L’ultima operazione è quella della revisione, è importante che chi scriva gestisca il tempo a propria disposizione riservando al controllo e all’autocorrezione il tempo necessario per:
- verificare la coerenza con la traccia;
- verificare la coesione interna;
- verificare la correttezza ortografica
Si possono progettare griglie di verifica cui l’allievo sia addestrato gradualmente a sottoporre ciò che ha scritto; una possibile griglia di verifica può essere la seguente:
- il testo ha risposto alle richieste iniziali: contenuto, destinatario, lunghezza?
- ha rispettato i punti della scaletta? è stato trascurato qualcosa di importante?
- presenta salti logici? affermazioni contraddittorie?
- ha calibrato gli spazi destinati ai vari punti della scaletta a seconda della gerarchia di importanza?
- ci sono concetti ripetuti inutilmente?
- ci sono punti non sufficientemente approfonditi?
- ci sono riferimenti poco chiari?
- ci sono affermazioni non argomentate, opinioni non suffragate dai dati?
- la grafia è leggibile?
- ci sono errori di ortografia?
- ci sono errori grammaticali (tempi verbali, concordanze, preposizioni)?
- ci sono errori di sintassi (connettivi, punteggiatura, verbi reggenti, ecc.)?
- ci sono errori lessicali?
Al termine di tali operazioni il testo prodotto dovrebbe risultare:
- coerente con la traccia;
- coeso al suo interno e logicamente ordinato;
- completo dal punto di vista dell’informazione;
- leggibile e graficamente corretto;
- formalmente corretto;
- adeguato dal punto di vista lessicale.
CONCLUSIONI PROVVISORIE
Il gruppo, concludendo i lavori, è giunto alla conclusione che, come osserva Dario Corno, soprattutto per quanto riguarda la produzione di testi espositivi, descrittivi e argomentativi, gli studenti spesso non riescono, attraverso l'esercizio della scrittura, a operare una concreta elaborazione di informazione che si traduca in effettiva creazione di conoscenza e di pensiero.
La sensazione è, quindi, di essere in uno "stato di crisi"; Bereiter e Scardamalia parlano di "fallimento didattico", in quanto la scuola non riesce a promuovere "la cognizione intenzionale", cioè un tipo di apprendimento per cui chi apprende avverte una modifica sostanziale nelle proprie conoscenze al punto di sapere metterle in pratica in situazioni concrete.
Ci si deve chiedere allora "che cosa vuol dire apprendere a scrivere"; nell'apprendimento ci sono due stili:
1. apprendimento spontaneo: si apprende senza essere consapevoli. Questa modalità crea conoscenze orientate ai fatti, non ai problemi;
2. apprendimento consapevole: chi apprende è consapevole che quello che apprende non solo si aggiunge, ma anche modifica le conoscenze possedute. Lo studente è quindi orientato a capire perché qualcosa è successo e a collegare la conoscenza acquisita con altre che già possiede in modo flessibile.
Tramite l'apprendimento spontaneo lo studente arriva a una conoscenza "inerte" e quindi non applicabile al di fuori del contesto in cui è stata acquisita.
Corno ritiene che la scuola spesso trasmetta conoscenze inerti (che gli studenti sanno esprimere, ma non usare) per due ragioni:
• frammentarietà dei curricula
• mancanza di applicazioni attive e concrete.
La scrittura (in particolare quella in cui si espongono informazioni) è un abilità in cui il recupero delle conoscenze richiede flessibilità; quando si assegna un testo da scrivere a uno studente, egli può optare per due strategie:
• dire tutto ciò che sa (utilizzando una strategia associativa tipica della conoscenza inerte per cui si "dicono le conoscenze");
• pianificare, porsi domande e cercare risposte che, all'inizio della prova di scrittura, non sospettava neppure di poter avere a disposizione; avviene allora una ricerca che porta chi scrive a una manipolazione delle conoscenze.
Perché la strategia del "dire ciò che si sa" cambi in "trasformare in ciò che si sa", è necessario portare lo studente alla consapevolezza di dover affrontare dei problemi, cioè a una didattica in cui "trasformare le conoscenze" sia l'obiettivo centrale.
Per insegnare a scrivere, secondo Corno, si deve puntare a una scrittura intenzionale (cioè "a soluzione di problemi" e a "trasformazione di conoscenze") in cui lo studente sia consapevole degli scopi che deve raggiungere.
L'obiettivo specifico di un progetto didattico orientato a favorire la scrittura intenzionale è puntare con decisione al miglioramento del modo in cui lo studente elabora le conoscenze.
Bereiter e Scardamalia ritengono che si debba trasferire agli studenti quel tipo di competenze che di solito sono attribuite all'insegnante (che cosa vale la pena imparare, come collegarlo a quanto appreso prima, farsi domande esplorative,…….); la scrittura "a soluzione di problemi" offre agli studenti l'opportunità di lavorare con le loro conoscenze personali attivamente e con indipendenza ("chiarendo i significati, trovando le incoerenze, scoprendo le implicazioni, stabilendo legami tra frammenti di conoscenza prima isolati").
Corno propone cinque indicazioni su come fare:
1. gli studenti devono essere consapevoli degli aspetti del processo di composizione, in particolare del fatto che scrivere non è "mettere parole sulla carta"; la scrittura offre una splendida opportunità per migliorare il proprio modo di ragionare attorno a conoscenze, se è chiaro che scrivendo:
• si devono definire degli scopi;
• si devono formulare dei problemi;
• si devono valutare decisioni;
• si deve rivedere quanto si è scritto per modificarlo.
Accanto alla pratica della scrittura deve esistere un inquadramento teorico.
2. Gli studenti non devono affrontare i problemi di scrittura senza un modello precedente proposto dall'insegnante che deve comunicare loro quegli aspetti di soluzione dei problemi e di pianificazione di cui spesso non sono consapevoli.
3. Gli studenti devono diventare consapevoli dei propri processi di apprendimento e del fatto che parlare dei problemi che si incontrano nello svolgere un'attività fa parte integrante del processo di acquisizione.
4. È opportuno progettare obiettivi sempre più complessi e con una ricca tipologia di consegne; ripetendo più volte attività che già si sanno fare non si acquisisce meglio una competenza nel suo complesso.
5. Ogni problema complesso ha bisogno di "facilitatori" soprattutto nelle fasi iniziali di realizzazione del compito assegnato; sono facilitatori:
• Consigli e suggerimenti dell'insegnante;
Istruzioni specifiche.
ULTIME OSSERVAZIONI
Procedere in questo modo permette di liberare il lavoro in classe dalle regole silenziose tipiche della formazione di "conoscenza inerte" è importante che questa strumentazione sia condivisa dal consiglio di classe.
La scrittura "a trasformazione dio conoscenze" (o funzionale, cioè quella in cui gli scopi di scrittura sono esplicitati) insistendo su operazioni di riscrittura, scrittura di sintesi e di analisi, permette di raggiungere e consolidare:
• Saper pensare
• Sapere di sapere
• Saper comunicare
A minchia di puvureddu fini cca'.
RispondiEliminaMa cu si nzonna di mettiri tuttu stu culunnatu di paroli?
Il prossimo messaggio forse includera' tutti i capitoli di "Guerra e Pace". Qualcuno e' convinto che si e' disposti a leggere tutto il contenuto di un messaggio copiato da un'altra publicazione? Arrisbigghiativi picciotti, scrivete quello che passa per i vostri crani.
Preciso che la decisione di pubblicare quest'articolo assai lungo, non mio ma comparso sull'espresso di qualche mese addietro, è stata presa dalla redazione, in totale autonomia.. io, facendo l'insegnante e confrontandomi ogni giorno con le difficoltà degli adolescenti, ho solo inviato una mail ai miei contatti, molti dei quali colleghi, per coinvolgerli su un problema che ritengo molto serio.. fra questi contatti c'è pure la redazione del Provocopuscolo, composta di gente che stimo quale seria ed intelligente.. evidentemente i ragazzi di Provocopuscolo hanno letto e ritenuto importante il problema affrontato, decidendo di includere l'articolo nel loro sito. Non si può che ammirare ancora una volta la loro sensibilità e l'utilità di questo strumento mediatico per la diffusione di riflessioni e informazioni.. Purtroppo non tutti risultano adeguatamente intelligenti ed altrettanto sensibili.. Ci si chiede però perchè la gente che non ha voglia di leggere o che non è interessata ai problemi inseriti nei post perda il proprio prezioso tempo a commentarli.. Si rimane attoniti nel leggere quel i loro interventi, che dimostrano evidentemente l'infimo livello degli autori e probabilmente il loro senso di inferiorità nei confronti della gente che ha scelto di riempire la propria vita di contenuti ..e non solo la propria pancia di cibo. Se almeno si firmassero si saprebbe a chi indirizzare la propria pietà.. Saluti, Daniele
RispondiEliminaCominciamo dall'inizio:
RispondiEliminaDaniele ha inviato al Provocopuscolo un messaggio con l'articolo allegato ritenendolo serio ed interessante. I ragazzi del Provocopuscolo lo hanno publicato per intero per non volerlo sintetizzare. Fino a questo punto Daniele non ha avuto obiezioni. Quando qualcuno si e' lamentato per la lunghezza che occupa nel blog, lui ritiene poco intelligenti i commenti fatti in merito dai lettori. Continuando ad attribuire segni di inferiorita' a quelli che hanno azzardato pareri contrari. Il fatto rimane pero' che mentre l'articolo descrive problemi inerenti una categoria alla quale lui appartiene, per il resto della gente che difficilmente puo' intervenire per rimediare la situazione, l'articolo pone limitata curiosita'. Se Daniele scende per un momento dal suo auto-eretto piedistallo potrebbe mettersi nei panni del Marinese comune che si preoccupa piu' del carovita e dei problemi odierni che costantemente affronta, forse capira' che e' soltanto questione di prioritizzare quello che interessa e quello del quale non ce ne fotte un cavolo.
Io penso che così non si può più andare avanti.. è nesessario che chi vuole intervenire su questo blog lo faccia dichiarando pubblicamente la propria identità.. c'è gente troppo idiota in giro e questo è uno strumento importante per i marinesi! Chi non ha le palle per firmarsi stia almeno zitto! Solidarietà a Provocopuscolo e a Daniele Costantino.
RispondiEliminaPS a pietra silestra: pubblicato si scrive con 2 "p". Si vede che di cosa pubblica te ne intendi proprio poco!!
RispondiEliminadavide s. pubblicato si scrive con due "p". Un altro intellettuale si espone per quello che e'. A proposito perche' non metti nome e cognome?
RispondiEliminaInsomma, come si scrive "publicato?"
RispondiEliminaSecondo me (io sono Mario Rossi)questa è una piazza virtule e tutti hanno diritto (fino a quando sarà lasciato libero accesso) di esrimere la propria opinione con quanto c... di b vogliono!! Forse ha fatto meglio Costantino che ha scopiazzato un aticolo e, con aria da intellettuale fresco frsco di laurea, adesso lo vuole somministrare agli ignoranti zoticoni che frequentano questo spazio? Ma vaffanculo pure tu. (Non è una parolaccia, ormai lo dicono tutti)
ALLA REDAZIONE: ma non c'è un moderatore a questo blog ?!?
RispondiEliminaun moderatore?
RispondiEliminama stai scherzando spero!
in questo paese si lotta per la libertà, quella vera però non quella citata da qualcuno nei suoi partiti e discorsi pur non conoscendone il significato, in tutte le sue forme, in questo caso libertà d'espressione, per cui non avrebbe senso partecipare ad uno spazio che limita le espressioni di pensiero di chi vi partecipa!
già in passato nel b&r c'erano state questioni su interventi ritenuti dalla redazione censurabili e per tanto venivano eliminati radicalmente senza addurre motivazioni plauisibili. adesso devo dire che, mi sembra, stiano cominciando a tenere una debita neutralità nella censura limitandosi a sostituire parole offensive con degli *****.
non è che fanno piacere però quantomeno non hai la spiacevole sorpesa di non trovare più pubblicato un tuo pensiero che hai pensato di condividere e discutere con qualsiasi tipo di linguaggio ognuno ritiene opportuno. hasta siempre la libertà!
Programma Nazionale "scuole aperte" . Indicazioni operative per lo sviluppo del programma e la valutazione
RispondiElimina(Si possono prentare progetti entro il 21 dicembre vedrete quante scuole marinesi li presenteranno)
La Legge 296/2006 (Finanziaria 2007), al comma 627, dispone "che al fine di favorire ampliamenti dell'offerta formativa ed una piena fruizione degli ambienti e delle attrezzature scolastiche, anche in orario diverso da quello delle lezioni, in favore degli alunni, dei loro genitori e, più in generale, della popolazione giovanile e degli adulti, il Ministero della Pubblica Istruzione definisca criteri e parametri sulla base dei quali sono attribuite le relative risorse economiche".
La nota ministeriale prot. n. 4026/P5 del 29 agosto 2007, che si allega alla presente, ha presentato il programma nazionale "Scuole Aperte" per l' anno scolastico 2007/2008, definendo i parametri organizzativi per l' attuazione del programma e per l' attribuzione delle risorse alle istituzioni scolastiche.
Con successiva nota prot. n. 5906/P5 del 28 novembre 2007, che si allega altresì alla presente, il Ministero della Pubblica Istruzione ha provveduto a trasferire a questo Ufficio Scolastico Regionale, in proporzione alla popolazione scolastica di questa regione, le risorse finanziarie, già preannunciate nella precedente nota ministeriale al paragrafo 6 II, per l?ammontare complessivo di ? 2.390.279,00, distinte per le scuole statali e le scuole paritarie, ed ha altresì fornito le indicazioni operative per lo sviluppo del Programma, il monitoraggio, la valutazione delle attività realizzate e la rendicontazione delle risorse assegnate.
Tenuto conto che il suddetto programma "Scuole Aperte" si rivolge ad una amplia platea, costituita dagli alunni, dai loro genitori, dalla popolazione giovanile ed adulta del territorio e che richiede pertanto una programmazione differenziata per tipologia di destinatari, per contenuti, metodologie e tempi di svolgimento, le istituzioni scolastiche potranno far fronte a tale ampliamento dell?offerta formativa sia singolarmente, sia collegate in rete, sia consorziate.
Al fine pertanto di favorire la realizzazione di azioni significative che siano volte ad ampliare l' offerta formativa, si invitano i Dirigenti Scolastici delle istituzioni scolastiche statali ed i Coordinatori delle scuole paritarie in indirizzo, a presentare, nei modi e nei tempi successivamente indicati, specifici progetti:
A. In favore degli alunni della scuola : Tali progetti (vedi par. 3 lettera d) e) della nota min. prot. 4026/P5 del 29/8/2007)devono essere collocati nei seguenti ambiti tematici:
- Potenziamento della attrezzature scientifiche e della didattica laboratoriale
- Percorsi di approfondimento dello studio di Dante
- Promozione dell?attività motoria e sportiva
- Approfondimento della cultura e della storia locale
- Potenziamento delle attività di ascolto della musica
- Promozione delle discipline artistiche, ad esempio: teatro, danza, arti figurative.
Su queste tematiche sono già operanti presso il Ministero alcune commissioni tecniche che hanno elaborato dei contributi utili per la progettazione delle scuole. Tali schede sono consultabili collegandosi al sito:
www.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/allegati/scuoleaperte.
In relazione alle tematiche di cui sopra si precisa che per i:
- Percorsi di approfondimento dello studio di Dante ? possono proporre i progetti soltanto le istituzioni di II grado statali e paritarie;
- Promozione dell' attività motoria e sportiva ? possono avere accesso alle risorse all?uopo destinate soltanto le istituzioni scolastiche di I e II grado (paragrafo 6 della nota ministeriale prot. n. 5352/P5 dell?9/11/2007 della Direzione Generale per lo Studente.
B. In favore dei genitori nonché della popolazione giovanile e adulta del territorio
Si prescinde dagli ambiti tematici sopraindicati relativamente a queste fasce di utenza indicate nella più volte citata nota min. prot. 4026/P5 del 29/8/2007 all' art. 4 che si riporta testualmente:
Le istituzioni scolastiche, possibilmente organizzate in rete o tra loro consorziate, sono invitate a programmare, nel prolungamento dell'orario di apertura, attività culturali, educative, ricreative, sportive in favore dei genitori degli studenti che frequentano la scuola, di studenti di altre scuole, di giovani che non sono più in formazione, di adulti disponibili ad aggiornare la propria formazione e ad alfabetizzarsi nei nuovi saperi.
La scuola in tal modo si riappropria del ruolo di centro di promozione culturale, relazionale e di cittadinanza attiva nella società civile in cui opera, favorendo rientri scolastici e creando occasioni sistematiche di formazione, in grado di elevare il livello culturale e di benessere generale del territorio e di offrire opportunità di accesso e di mobilità lavorativa.
Con riferimento alle diverse tipologie di utenza, sulla base delle risorse strutturali, finanziarie e professionali disponibili, possono essere programmate iniziative mirate per specifiche fasce d'età e per particolari interessi. Possono essere attivate anche particolari forme di collaborazione, ad esempio, con gli EE.LL., biblioteche, teatri, musei, impianti sportivi, al fine di integrare le rispettive offerte culturali, formative ed educative attraverso apposite intese o convenzioni.
La programmazione degli interventi di cui sopra, sia di tipo A. che di tipo B. dovrà essere declinata considerando anche situazioni territoriali particolari, quali ad esempio le aree a rischio di devianza minorile, le zone periferiche delle aree metropolitane, quei territori che fanno registrare una forte carenza di centri di aggregazione giovanile o alti tassi di dispersione scolastica.
Si fa presente inoltre che una quota dei finanziamenti stanziati per la realizzazione dei progetti anzidetti può essere destinata alla copertura delle spese necessaria per l?aperture, la vigilanza
e la pulizia dei locali della scuola durante le ore pomeridiane, ove l?E.L. competente non sia assolutamente in grado di assumersene l?onere.
In ogni Scuola che attivi il Progetto "Scuole aperte" sarà individuato un responsabile di progetto per il coordinamento delle attività, per le relazioni con le famiglie e gli enti esterni (pubblici e privati) coinvolti nel progetto, per l'interlocuzione continua che dovrà instaurarsi con questa Amministrazione in merito a tutte le fasi del progetto.
I progetti, deliberati dai competenti organi collegiali, redatti sull?apposito formulario, corredato dal piano finanziario, allegati entrambi alla presente, devono pervenire entro il 21 dicembre 2007, agli Uffici Scolastici Provinciali di competenza. Farà fede il timbro postale di partenza.
I progetti delle scuole paritarie dell?intera regione, redatti sull?apposito formulario, corredato dal piano finanziario, devono invece pervenire, entro il 21 dicembre 2007, alla Direzione Generale di questo Ufficio Scolastico Regionale, sito in Palermo - c.a.p. 90146 -Via Fattori 60. Farà fede il timbro postale di partenza.
I progetti possono essere proposti anche in forma diversa dagli allegati A e B, purchè contengano tulle le informazioni richieste.
I Dirigenti degli Uffici Scolastici Provinciali sono invitati a costituire i nuclei di valutazione per l?esame e la valutazione dei progetti presentati.
Gli adempimenti di esame e selezione dei progetti da parte dei nuclei di valutazione dovranno concludersi entro il 20 gennaio 2008.
Il piano regionale dei progetti selezionati, previo confronto con il FORAGS e con il coordinamento regionale delle Consulte degli Studenti, per la parte relativa agli istituti superiori, verrà successivamente inviato alle scuole, perché possano immediatamente avviarne la realizzazione.
IL DIRETTORE GENERALE
Guido Di Stefano
Si allegano:
totale finanziamento_prov.xls
direzione generale per lo studente.doc
scuole aperte 28-11-07.doc
allegato_a_schedaprogetto_scuole_aperte.doc
allegatob_finanziario.xls
Al Numero Verde antibullismo 70 chiamate al giorno
RispondiEliminaIl numero verde antibullismo del ministero della Pubblica Istruzione riceve una media di 70 telefonate al giorno: in dieci mesi (dal 5 febbraio al 30 novembre 2007) ne sono arrivate 12.874; a chiamare sono soprattutto genitori (36,1%) e insegnanti (21,2%), mentre gli studenti sono il 13,4%. Si chiama soprattutto per sapere cosa fare (53,1%), ma anche per essere semplicemente ascoltati (8,9%).
A quasi un anno dalla sua istituzione, dunque, il numero verde antibullismo del ministero non conosce soste, segno di un malessere diffuso nella scuola che ormai è diventato strutturale così come ormai “istituzionale” è diventato anche il team di esperti chiamati un anno fa dal ministro Fioroni.
E come il numero verde continuano a funzionare a pieno ritmo anche gli Osservatori regionali permanenti sul bullismo che operano sul territorio in sinergia con le diverse istituzioni locali.
Anche alle elementari e alle medie fenomeno in osservazione
Nello stesso tempo in un’indagine, condotta dal ministero all’inizio di quest’anno su un campione di 11.000 alunni, rappresentativo del primo ciclo di istruzione (Progetto ascolto), è emerso che da un lato il rapporto tra i ragazzi è abbastanza positivo:
il 95% degli alunni si trova bene tra loro (il 65% “molto bene”),
l’85% trova che i compagni si comportano correttamente nei loro confronti, dall’altro risulta che tre quarti dei ragazzi (74%) ha assistito almeno una volta ad episodi di prepotenza da parte dei compagni (il 15% spesso; il 34% più di una volta; il 25% una volta).
Si tratta di numeri che devono far riflettere specialmente se si considera che oltre il 40% degli atti di bullismo denunciati al numero verde del Ministero hanno comportato violenze fisiche e che oltre il 54% di chi si è rivolto al numero verde ha percepito l’episodio di gravità elevata.
Oltre il 72% di chi ha denunciato il fenomeno si è rivolto ai dirigenti e ai docenti della scuola, mentre il 4,9% di chi ha subito atti di bullismo ha cambiato istituto.
Dichiarazione di intenti tra Ministero della Pubblica Istruzione e compagnie di telefonia mobile (Telecom Italia, Wind, Vodafone Italia, 3 Italia)
Tra le azioni intraprese contro il bullismo e la violenza nelle scuole c’è anche la firma di oggi della dichiarazione di intenti tra Ministero e gestori della telefonia mobile per l’educazione ad un corretto uso dei telefoni cellulari a scuola e per la diffusione di una maggiore conoscenza delle regole della privacy a tutela dei minori.
La dichiarazione prevede una serie di iniziative che saranno realizzate dal Ministero della Pubblica Istruzione insieme alle compagnie telefoniche Telecom Italia, Wind, Vodafone Italia, 3 Italia: una campagna di comunicazione integrata, un premio per il miglior spot realizzato col telefono cellulare e un concorso per la migliore produzione di materiale informativo realizzato dagli studenti sul tema dell’educazione ad un corretto uso dei telefoni cellulari a scuola.